Nicola
Nicolosi
Segreteria Cgil Lombardia
Care compagne e cari
compagni, questo congresso ha avuto il compito di definire la nostra linea
strategica per i prossimi anni e noi abbiamo fatto bene a tenere questo
congresso prima delle lezioni politiche, perché, così, abbiamo avuto la
possibilità di discutere senza condizionamenti, e in modo particolare di
riuscire a dare un contributo al dibattito sui problemi del paese in piena e
totale autonomia.
In
piena e totale autonomia, perché, per la nostra organizzazione, l’autonomia
nei riguardi del quadro politico è
uno degli elementi fondanti, ed è
per questo motivo che nelle migliaia di assemblee svolte in tutti i luoghi di
lavoro, tra i nostri iscritti, siamo riusciti a costruire una linea
programmatica che considero positiva e di alto profilo, una linea programmatica
che sicuramente ci metterà nella condizione di parlare alla politica ma anche
con le altre forze sociali. Ma in modo particolare ci consente di parlare di
contenuti, di parlare dei problemi del paese, di parlare delle questioni che
oggi gran parte della popolazione e in particolare i lavoratori e i pensionati
stanno vivendo.
Purtroppo
per anni, alcuni problemi del paese sono stati ignorati e quindi non sono stati
affrontati e spesso persino negati.
Ricordo che solo noi ( la CGIL ) abbiamo avuto il coraggio, quando nessuno ne
parlava, di denunciare il declino
industriale del sistema produttivo italiano. La struttura dell’economia si
fonda su una divisione internazionale del lavoro, che differenzia i vari paesi,
gerarchizzandoli in un nucleo
centrale, una periferia e una
semiperiferia, il nostro paese rischia di essere ai margini del sistema
produttivo internazionale.Anzi il vero pericolo è quello di diventare un grande
supermercato dove si vendono prodotti di scarsa qualità e lo stesso lavoro sarà
di livello basso. Quando ne
parlavamo sostenevamo che quel declino aveva pesanti ripercussioni
sull’economia del paese e sulla situazione sociale.Abbiamo detto che tale
declino ha lunghe radici, che non è solo il frutto di questi ultimi anni. E
quando diciamo che ha radici lunghe, tentiamo di dare uno spazio e un tempo,
stiamo dicendo che è un problema che era
emerso nelle politiche scellerate di politiche
industriali ed economiche degli ultimi 20 anni. Problema
che non è stato mai affrontato.
Questo
nodo politico di fondo chiama in causa la responsabilità del nostro sistema
imprenditoriale, ma chiama in causa, anche, la responsabilità della politica e
pertanto noi dobbiamo anche avere il coraggio di dire che siamo di fronte ad una
emergenza, che è quella di cambiare, non solo, il quadro politico attuale, ma
di chiedere a tutta la classe politica in generale di rimediare ai guasti che si
sono realizzati nell’arco di questi ultimi 20 anni.
C’è
anche sicuramente una questione etica, che riguarda la classe imprenditoriale,
parlo di etica perché i nostri imprenditori hanno scelto la strada del guadagno
facile, l’abbiamo detto in più interventi e
anche nella relazione introduttiva di questo congresso. I dati specifici
della crisi industriale, dimostrano come non ci sia stata in Italia una classe
imprenditoriale, lungimirante, capace di guardare all’interesse dell’impresa
con un orizzonte di sviluppo, ma che ha mirato solo all’interesse economico
personale. Occorre rinnovare la classe dirigente di questo paese, ma, lo
dobbiamo dire, qualche responsabilità c’è l’hanno anche alcuni dirigenti
di questo sindacato.
Noi
non possiamo esimerci dalle nostre responsabilità collettive, non basta dire
che la responsabilità è degli altri, ma serve anche da parte nostra avere la
capacità di affrontare le nostre responsabilità per non aver ostacolato questo
triste risultato.
Poiché
condivido e sosterrò nei fatti la strategia contenuta nel documento
congressuale, con riguardo alle priorità da affrontare mi preme di porre tre
questioni già affrontate nelle nostra discussione: la centralità del lavoro,
il patto fiscale e il ruolo pubblico in economia. Questioni che si legano
l’una all’altra e determinano la qualità di un progetto di ricostruzione
del paese.
I
vecchi riformisti direbbero ci vuole il senso della storia, ma ci vuole anche il
senso della modernità, per quanto concerne il senso della storia io non mi
reputo e non sono qui a vendicare la mia cultura che non è riformista, ma
sicuramente il senso della storia è un senso che tutti dobbiamo avere.
Nell’arco di questi ultimi anni c’è stato un travaso della ricchezza di
questo paese dal lavoro alla rendita e al profitto, questo dato è ormai
assodato e patrimonio collettivo del sindacato e non solo. Questo riconoscimento
è un successo culturale e politico, significa avere finalmente compreso in
termini critici quello che è successo dalla fine degli anni ’70 fino ai
nostri giorni, con una crescente accelerazione, l’affermazione di un modello
neo liberista, centrato sulla libertà dei capitali. Condivido la proposta
presente nel documento e richiamata anche dalla relazione, del patto fiscale,
perché la grande spinta al processo neo liberista nasce dalla ribellione contro
il sistema delle tasse negli Stati Uniti, poi in Gran Bretagna. La parola
d’ordine è meno Stato più mercato, diventa un nuovo paradigma che costruisce
solitudine e egoismo, alla fine arriva anche
in Italia.
Da
lì che nascono le priorità che dominano il
processo di globalizzazione, che tanta ingiustizia ha prodotto nel
pianeta, verso la fine degli anni 70 negli Stati Uniti si affermano
politicamente Reegan e poi in Gran Bretagna la Thatcher, quelle stesse politiche
vengono poi riportate, pari pari,
nel nostro paese. Per quelle politiche, per essere competitivi, bisogna
intervenire sul costo del lavoro e per intervenire sul costo di lavoro bisogna
ridurre le condizioni di benessere dei lavoratori e dei pensionati. Su queste
politiche economiche e sociali ci siamo divisi, tra chi sosteneva la necessità
di guardare al mercato e alla sua capacità di risolvere i problemi, e chi ,
invece denunciava i fallimenti del mercato, incapace di dare risposte ai grandi
bisogni della popolazione mondiale. Ora serve una linea di chiarezza, anche in
Italia aumenta la povertà, lavoratori e pensionati sono sempre più a rischio
di cadere nella povertà, la CGIL deve assumere questa questione come
prioritaria e porla nei confronti con la politica e nelle rivendicazioni con le
controparti pubbliche e datoriali. Abbiamo detto che la centralità del lavoro
è tra le prime grandi questioni che noi dobbiamo mettere al centro della nostra
agenda politica. Condivido questo concetto, ma chiedo più coerenza nel nostro
agire e nella pratica sindacale, oggi c’è troppa precarietà nel lavoro, le
nostre parole non possono essere vuote, non c’è centralità del lavoro
se non c’è una lotta senza quartiere contro la precarietà, solo così passa
il concetto di centralità del lavoro! Inoltre con una lotta efficiente contro
la precarietà noi facciamo vivere lo spirito principe della nostra carta
costituzionale. L’articolo uno della Costituzione afferma che l’Italia è
una repubblica democratica fondata sul lavoro e su questo concetto si costruisce
anche l’emancipazione della classe subalterna e si dà dignità a chi lavora,
quindi da questo punto di vista, sicuramente, la lotta alla precarietà è una
affermazione del diritto di cittadinanza.
Quello
che stiamo dicendo, mettendo al centro il lavoro è certamente fondamentale, ma
serve tra di noi un patto per fare diventare questi contenuti coerenza
pragmatica nella realizzazione dei contratti. Non possiamo lasciare le questioni
nei documenti ma dobbiamo trasformarli in pratica quotidiana della nostra
azione.
Noi
avremo un compito molto importante da qui ai prossimi giorni, penso che il
nostro documento congressuale sia un contributo altissimo per il prossimo, speriamo, governo di centro sinistra per dare
sostegno e indirizzo sul piano generale alle questioni che interessano
l’economia del paese.
Per
concludere sono convinto che questo congresso, che è importante e si celebra
nell’anno del centenario della nostra organizzazione, abbia il grande merito
di porre con forza le questioni della centralità del lavoro e, in modo
particolare, il nodo della precarietà e della distribuzione della ricchezza,
nell’ambizioso disegno di
riprogettare il Paese.
La lotta alla precarietà e l’uguaglianza dei lavoratori e delle lavoratrici devono diventare obiettivi di mobilitazione con la stessa tenacia e qualità con cui il movimento operaio ha affrontato l’obiettivo delle 8 ore, la lotta alla precarietà deve diventare un cambio di paradigma, un salto culturale per affermare che non c’è sviluppo senza centralità e dignità del lavoro. Cosa, del resto, che i dati riportati nella relazione evidenziano, precarietà e sottosviluppo si accompagnano perfettamente!